La natura come fondamento

di Giorgio Bonomi

In questa fine di secolo in cui sembrano prevalere, da un lato, una sorta di edonismo beota, contento del consumarsi rapido di ogni cosa che non lascia traccia, e , dall'altro, un senso necrofilo che estetizza, e gode, la sofferenza altrui, c'è anche chi mette a frutto il pensiero più avanzato che le scienze, cosiddette naturali ed umane, hanno raggiunto. Così, superato il dualismo di uomo e natura, di res cogitans e di res extensa, si considera la Natura come orizzonte e limite del Tutto, nel quale viene compreso l'uomo che non ha privilegi nell'essere della natura, se non quello di una maggiore capacità conoscitiva e di autocoscienza. L'artista, che è sempre figlio dei suoi tempi, non può non essere coinvolto in questa visione, che viene vissuta ed espressa, ovviamente, con le proprie personali poetiche. Barbagallo è pittore, se si vuole si può classificare "informale", e certamente, è figlio di quel modo espressivo che però si esplicò in altro contesto, per cui quella classificazione non ci dice nulla di più di una generica maniera tecnica del fare pittura. Barbagallo dichiaratamente vuole fare "affiorare" il suo sentire sulla tela: il suo concetto fondante è quello dell' essere della Natura, e si serve non solo della rappresentazione ma di un elemento materiale della natura assunto come simbolo della totalità - del resto si parla della scoperta del macrocosmo attraverso un microcosmo - cioè del materiale fibroso vegetale. La fibra vegetale, trattata con vari materiali, viene poi dipinta con il resto dello spazio del quadro: abbiamo, dunque, una composizione - quasi sempre articolata su due colori, risultanti da una complicatissima miscela cromatica - a complemento/contrasto. La parte della tela solo dipinta diviene uno sfondo speciale e le fibre sono l' elemento in primo piano da cui parte la percezione e la riflessione: è un po' come osservare una stella o una costellazione che è compresa e avvolta da un tutto (il cielo, l'universo). A marcare l'assunto, Barbagallo non teme di utilizzare talvolta, per far risaltare le fibre, il colore oro, che sappiamo quanto facilmente possa diventare decorativismo ammiccante; l'oro, invece, nel nostro artista, assume una valenza di omaggio regale a quelle fibre che diventano le fibre del tessuto naturale e animale, e quindi dell' uomo, e struttura complessa del mondo inanimato, insomma di tutta la Natura, della Vita stessa come ci è data di conoscere. Non c'è ideologismo naturalistico né panteistico, bensì la coscienza contemporanea della costruzione della materia - con altra lettura potremmo significare gli intrecci delle fibre come le linee dell'energia degli elementi costitutivi dell'atomo - e Barbagallo non giudica, si sottrae dallo sterile dualismo, che vuole la natura ora benigna ora maligna, in virtù della sua volontà conoscitiva che può essa stessa provocare forte emotività - e l'arte questo deve offrire - proprio perchè suscita nell'osservatore, se non sempre la consapevolezza, almeno lo stimolo a comprendere la realtà, senza dover gioire o godere solo in base a valutazioni etiche - bene o male - o semplicemente estetiche - bello o brutto. Da questa visione complessa non poteva essere esclusa una interpretazione del concetto di tempo che, come è noto, è uno dei rovelli sia delle filosofie antiche sia delle epistemologie contemporanee. Certamente in Barbagallo viene espresso il tempo storico, quello cioè della freccia, lineare e progressivo, infatti le fibre hanno una storia, un prima e un poi, una durata. Ma la visione poetica dell'artista riscatta la contingenza del "piccolo pezzo di natura", assurto a simbolo, elevandolo alla "eterna durata", cioè ad un tempo, qual è quello eterno, che, essendo senza inizio e senza fine, è sempre "tempo presente". E' per questo, oltre alle qualità espressive dell'artista, che il discorso di Barbagallo coinvolge anche chi, come chi scrive, fa professione di storicismo: infatti il senso profondo che l'artista comunica è un richiamo che investe direttamente il campo dell'etica. Il suo fissarsi sul "presente", sull' hic et nunc, diviene imperativo morale, un dovere e una responsabilità cui non ci si può sottrarre con vani e sterili vagheggiamenti di un passato che non c'è più nè con fughe incoscienti verso un futuro che non c'è ancora e i cui contorni sono immaginabili solo come pura fantasia. Barbagallo ci offre una visione serena dell'essere, il suo rigore non è raggelante, tutt'altro: non è un caso che gli intrecci non abbiano mai valore di scontro, di dramma ma siano solo la raffigurazione fenomenica di ciò che è, e, ugualmente, non è un caso che questi intrecci siano sempre illuminati da una luce più chiara, scintillante, rispetto allo sfondo più scuro che rappresenta sia il tempo che lo spazio, infiniti e indefiniti per la loro stessa costituzione. Così, alle eterne questioni della Natura indifferente e del "naufragar m'è dolce in questo mare" di leopardiana memoria, Barbagallo dà una risposta che supera quei sentimenti romantici del fremito di piacere e dello sconsolato timore del poeta di Recanati, appunto perchè opera su un piano diverso, quello della conoscenza del fondamento da cui poi si dipartono le emozioni sentimentali, e anche perchè, non va dimenticato, Barbagallo è pittore e non può non dare al suo pensiero che senso e significato artistico, recuperando il valore originario dell'estetica quale momento primo della conoscenza che dalla sensazione arriva poi alla riflessione e al piacere.

Da "Titolo" anno VIII n° 25 inverno 97/98

 

 

 

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