Barbagallo, dialogo sulla memoria filosofica

di Antea Fedi

Confini di polvere, confini della mente, quei confini che bisogna col pensiero superare per riuscire a capire il reale, per riuscire ad estirpare, o quanto meno a "curare", la superficialità del mondo moderno. E' dunque alla capacità dell'indagine che Antonio Barbagallo si affida, a quella preziosità della ricerca che sconfigge la superficialità. Un intento dell'artista è quello di comunicare un disagio e sicuramente stimolare il fruitore a non fermarsi all'apparenza della superficie più esterna ma a scavare per cogliere l'aspetto più interno e più vero delle cose e comunque indagare per costruire la propria verità. Le concrezioni materiche sono sbalzi di elaborazioni linguistiche che sollecitano ad esercitare un'indagine approfondita per costruire la propria verità. Barbagallo fa in modo che l'osservatore entri dentro la materia, apparentemente semplice, ma internamente assai complessa ed articolata nel reale come nel pensiero. Con il suo processo mentale ha ingabbiato situazioni complesse e allo stesso fruitore non resta, alla lettura delle opere, una interpretazione soggettiva che forse spesso si distacca dal mondo della ricerca dell'artista, questo non ha importanza, ciò che conta è il tentativo, l'indagine comunque compiuti. Nelle diverse stratificazioni delle materie Barbagallo domina lo spazio con propri riferimenti non noti né localizzabili, dunque precari sì come la stessa condizione umana. L'artista agisce su fibre vegetali (paglia, giunco, radici di piante ...), proprio per dimostrare che la realtà, quella delle sue opere e quella fenomenica, è fibrosa ed articolata; così anche quando usa una lisca di pesce, il suo intento è sempre quello di dimostrare la "fibrosità" del reale, come recupero di memoria, oltre che un richiamo all'origine geologica delle cose, intendendo quella lisca come un fossile. Già nel ciclo Tracce, Barbagallo avvia una ricerca che si sviluppa su elementi sparsi e disgregati di un passato non più in grado di fornire strutture codificate e sicure, ma solamente tracce, appunto, per trovare una propria direzione di indagine, in cui la coscienza sola si muove costruendo il proprio linguaggio e il proprio tempo.

Il primo approccio avviene nel solco di un impianto naturalistico per trasformarsi rapidamente in paesaggi verticali, paesaggi immanenti e senza orizzonti, muri o barriere dove l'accadimento è tutto in superficie, dove l'attenzione si sposta sugli affioramenti, sulle tracce, su quei minuti reperti di archeologia testimoni del trascorso e del dimenticato. Sotto una pelle rugosa, scabra e dura, si incide, si rimuove e si copre, si cercano altri frammenti, si mettono insieme, ogni traccia evoca immagini e storie. Il paesaggio-muro è l'immanenza del presente, sulla sua superficie si comprime un'energia che non trova varchi, che non penetra, e non oltrepassa. Il ciclo Trilogie, che l'artista presentò al Goethe Institut di Napoli nel 1994, obbedisce alla necessità di scrivere sui muri, di lasciare una propria traccia, i propri segni. una materia densa e compatta che chiude il campo visivo, costringendo quasi l'attenzione di chi guarda a concentrarsi sugli impasti, sugli spessori ruvidi e accidentati, nell'insieme intricato e mutevole di grumi, dei filamenti, della stratificazione e dei solchi. Con Confine di polvere i fremiti della superficie svelano, finalmente, gli accattorciamenti della realtà di fronte all'atteggiamento del tempo, che trasforma e recide l'articolato sistema della vita, che svuota di peso, facendolo precipitare nella polvere, il senso verticale del costruire. La natura, lo spazio, ciò che circonda l'uomo con le sue leggi di crescita e di deperimento viene spostato in avanti, viene fatto emergere, la superficie diviene allora solo occasione di una proiezione verso l'esterno, l'evento spaziale del manifestarsi di un interno, l'immerso emerso, il nascosto manifesto, il concavo e il convesso dell'arte. L'immagine ha compiuto il suo cammino, la sua traversata ascendente per costruirsi tutta sulla superficie. Con le istallazioni, La giostra dell'anima e Frutti di tempo e di silenzio, non vi è più l'avvilupparsi della materia, magma che tenta di nascondere o di imprigionare, trascinando dentro di sé, le fibre che si svelano e rivelano l'essenza della realtà; non vi è più alcun dramma, il silenzio trionfa di fronte ad una realtà ridotta a scheletro, non simbolo di morte, ma di ciò che è rimasto, che ha superato il confine del tempo, proiettando le proprie ombre verso una realtà altrove, per mostrarsi con nuda evidenza, per costruire senza recidere i legami con ciò che è già avvenuto. La materia ha dato alla luce i suoi frutti.

 

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